Tra i tanti ospiti illustri che saranno presenti a Pesaro Challenge non poteva mancare il campione mondiale di KickBoxing che ci ha accompagnato sin dai primi anni della nostra manifestazione. Avete capito di chi stiamo parlando? Ebbene sì, del pesarese Jordan Valdinocci, che ha vinto il titolo mondiale ISKA il 25 marzo 2023 e che nella sua bacheca dal 2021 detiene un altro titolo mondiale, ovvero il WKU, entrambi vinti nella categoria dei 67 kg. Questi sono solo i due più recenti visto che Jordan Valdinocci nel suo curriculum sportivo ne vanta tantissimi altri, soltanto restando in Italia potremmo parlare dei 3 titoli italiani vinti (tanto per citarne alcuni).
Jordan però non è soltanto un atleta di kickboxing ma anche un allenatore, sia nella sua palestra a Pesaro (ovvero la Fight House) che a livello internazionale per quanto riguarda la MMA, che lo ha portato ad essere il primo allenatore italiano all’angolo della UFC negli USA.
A tutto ciò si aggiungono i suoi rapporti con manager statunitensi che muovono atleti in tutto il mondo ed i suoi seminari pratici che lo portano in giro per il globo tra Stati Uniti, Colombia, Messico, Germania, Repubblica Domenica e, anche a casa nostra, in Italia.
Facciamoci però raccontare da lui come nasce questa passione che lo ha reso il campione mondiale che tutti conoscono oggi.
Che cosa ti ha spinto verso questa disciplina e quando hai iniziato?
Ho iniziato molto presto, intorno ai 5-6 anni infatti mi sono affacciato per la prima volta agli sport di combattimento. L’ho fatto stimolato dai cartoni animati come Dragon Ball o da superuomini come Bruce Lee. Volevo essere come loro e così ho iniziato a praticare Kung Fu, vincendo anche dei titoli nazionali ma smettendo all’età di 11 anni per darmi, da buon pesarese, al basket. Ho ripreso poi a praticare sport di combattimento attirato dall’autodifesa all’età di 19-20 anni e quando ho ripreso non mi sarei mai aspettato questo futuro. Non avevo minimamente in testa di farne un lavoro e infatti studiavo all’università. Ma sia da bambino che da 19enne sono sempre stato una persona competitiva e così ho iniziato a fare i primi combattimenti, poi le prime vittorie e alla fine sono finito ad affrontare atleti che fino a qualche anno prima vedevo in TV.
Così hai capito che la tua passione poteva diventare il tuo lavoro?
In realtà ci sono state molte avvisaglie. A partire dal lavoro che facevo. La laurea non mi aveva portato qualcosa che mi piaceva fare, allo stesso tempo più mi avvicinavo al professionismo e più nell’ambiente mi veniva riconosciuto una sorta di talento, poiché raggiungevo traguardi più velocemente del normale. A ciò si aggiunge il fatto che a Pesaro gli sport di combattimento iniziavano ad attirare sempre più persone e così ho iniziato a guadagnare facendo i miei primi corsi (cosa che poi darà vita alla mia scuola, la Fight House). A quel punto allora ho deciso di mollare tutto e di dedicarmi alla mia passione per questo sport rendendola un vero e proprio lavoro.
Presa questa decisione sei poi arrivato a vincere un titolo mondiale, cos’hai provato?
La sensazione del primo titolo mondiale, quello del 2021, è indescrivibile. Non soltanto per la soddisfazione sportiva ma per tutto ciò che vivevo, come tanti altri, in quel momento. Venivamo dalla pandemia e ciò voleva dire che per prepararsi ad un incontro simile in Italia ci si doveva allenare con tutte le restrizioni del caso. Fare una dieta rigida tra i vari lockdown, tenersi in forma e allenarsi in palestre fredde perché di base erano chiuse, il pensiero fisso che potesse saltare tutto da un momento all’altro, i costanti tamponi a cui ero sottoposto un giorno dopo l’altro e soprattutto dover sfidare l’atleta detentore in casa sua, a Monaco, che oltre ad essere il figlio dell’organizzatore dell’evento aveva la possibilità di allenarsi al meglio e con uno staff di professionisti (perché in Germania le regole erano diverse). Nonostante ciò alla fine ho vinto io ed è stato fantastico!
Di tutti questi anni all’interno di questo mondo c’è qualche aneddoto o qualcosa in particolare che porti con te?
Di aneddoti ce ne sono a bizzeffe, visto che parlavamo del primo mondiale vinto a questo punto aggiungerei che l’ho vinto con un braccio rotto a metà incontro (e me ne sono accorto soltanto dopo). Per quanto riguarda qualcosa in particolare che porto con me sono soprattutto le opportunità che questo sport ti regala a certi livelli. Grazie alla mia professione infatti ho la possibilità di girare il mondo e di conoscere culture di ogni genere. Dai grandi manager degli Stati Uniti fino agli atleti di strada del Sudamerica.
Pesaro Challenge invece come si inserisce nel tuo percorso?
Beh tutto nasce da una conoscenza che ho con gli organizzatori e, tra una parola e l’altra, alla fine ho sempre partecipato alle varie edizioni di questa manifestazione. Quest’anno inoltre saremo presenti sia io che i miei ragazzi con una sorta di dimostrazione, praticamente faremo un allenamento all’aperto.
Per concludere l’intervista… c’è un messaggio che vuoi mandare ad atleti e non solo?
Il messaggio che vorrei mandare non è solo per chi pratica il mio sport o per atleti ma è per tutti: spendetevi fino in fondo per le vostre passioni e credeteci fino alla fine. In questo mondo ti consigliano e ti dicono sempre cos’è meglio fare per te mentre invece bisogna seguire ciò che si ama. Per me questa è la chiave di tutto, soprattutto per la felicità.